Il sociale e l'antisociale
È da ormai mesi che rifletto su quali parole usare correttamente per affrontare il tema dell’uso erroneo dei Social Network da parte dei Millenials (splendida categoria di cui faccio parte). Nel frattempo sono usciti anche numerosi articoli che parlano dei disturbi delle persone derivanti dall’utilizzo improprio dei social, così da confermare che i miei pensieri non erano solo una gigantesca sega mentale (in caso contrario è una sega mentale condivisa e ce ne faremo una ragione).
Sono arrivato alla conclusione che non esistono parole più dolci e politicamente corrette, per dire ciò che penso dei miei colleghi di categoria: siamo degli ansiosi sociali.
Ora, tutto questo lo scrivo con grandissima tranquillità, poiché io di ansia sono un grandissimo esperto e sappiate che avete tutta la mia comprensione. Non potrei avere mood diverso, dal momento che in cuffia ho in riproduzione una playlist di Bill Evans (Trio) e Miles Davis. Quindi le parole scritte qui sotto dovranno essere concrete e propositive: questo è l’obiettivo minimo che mi pongo e se non sarà atteso, prometto di restituirvi i dieci minuti di tempo in forma di Reel su Instagram, dove mi cimenterò nella ripetizione del balletto di Musica Leggerissima di Colapesce e Dimartino per dieci minuti di seguito (le spese per la bombola d’ossigeno finale a carico mio ovviamente).
Considerato che Instagram è il social più utilizzato dalla fascia d’età 27-40, mi focalizzerò sul suo uso improprio. Convenite tutti con me che è oramai diventato un groviglio di aspiranti influencer, per altro discutibili, quindi cercherò di fare un po’ di analisi su come appare in maniera oggettiva.
Il nostro caro e amato Instragram ha scarrellato Facebook alla sua nascita, lo possiamo dire. Veramente interessante all’inizio, quando si dava spazio alla fotografia e… basta. L’evoluzione naturale di Flickr molto più social, insomma una grande visione a mio modo di vedere.
Il problema non è il social in sé, ma ciò che ne è diventato grazie ai suoi utenti: noi.
Quello che ormai percepisco è il bisogno continuo degli utenti, mediamente trentenni, di dimostrare quanto si è sul pezzo. Se l’utente Alpha sfoggia il suo viaggio a NYC, l’utente Beta si sente in dovere morale di rispondere con la foto in bikini dalle Maldive, come per dire «il mio serprente è più lungo del tuo e questo flebilmente scava sull’autostima».
Questo atteggiamento, dimostrato dagli aspiranti influencer sottoforma di Reel perfetti degni di studio fotografico e/o Stories continue (quasi moleste), ha un solo scopo: l’autocelebrazione di se stessi, alimentare un ego che non conosce appagamento, se non dall’approvazione del pubblico. L’essere umano medio si è trasformato in una star del cinema che ha bisogno dei like del proprio pubblico, in maniera costante esattamente come una dipendenza, per riuscire a dire a se stessi senza incertezze che si sta facendo la cosa giusta.
Conseguenze
La prima conseguenza va a pesare direttamente sui pubblicatori seriali.
Io ora immagino il tizio X che se ne va in giro a fare l’attività Y (viaggio, cibo in compagnia, concerto, qualsiasi cosa di divertente agli occhi degli altri), ma vive con la continua ansia di pubblicare foto sui social: aggiungi filtro bellezza, fai il video con il braccio fermo, altrimenti il Reel viene in modalità Karol Wojtyła, verifica i like e l’approvazione del pubblico.
Insomma alla fine della tua attività potresti essere più stressato di prima, forse sarebbe stato meglio spegnere lo schermo e godersi il momento. Alla fine penserai: volevo veramente fare un giro in montagna, godermi la brezza della spiaggia d’inverno, andare al concerto di Coso che piace a tutti, fare il giro del mondo in 80 giorni?
Ora ti vedo, carissimo lettore, che fai spallucce e dici «ah ma io non sono mica così, io non vado in ansia mentre pubblico i miei post e sono il best player che sognavo da piccolo e tu sei solo invidioooso, geloooso».
Ognuno di noi è liberissimo di vivere la propria quotidianità secondo le proprie regole, principi e virtù. Tutti possiamo raccontarci la verità più comoda per sentir meno il peso delle questioni personali più profonde. Lo facciamo tutti, io in primis, quindi non giudico affatto. Credo però che il gioco cambi quando il proprio atteggiamento inficia direttamente sugli altri: qui entra in gioco la seconda conseguenza.
Dall’altro lato dello schermo esistono persone, in carne ed ossa, che per inseguire lo standard millantato dagli altri utenti sui social si struggono, vanno in continua ansia da prestazione e alla fine crollano. Ciò che per qualcuno può essere la normalità, per altri può essere un limite gigantesco e non riuscire a superare quel limite con gli stessi tempi degli altri può portare la persona a non superarlo mai.
Già, amico mio. Le persone, la società fatta di persone, le stesse che tendiamo a dimenticare. Non è colpa nostra, noi Millenials siamo cresciuti così: a pane e mito del super-io, narcisismo autoreferenziale unito all’impossibilità di fallire. I nostri padri fondatori (i boomer ndr) ci volevano così, con il posto fisso e con il serpente più lungo degli altri, poi chissenefrega se andiamo a scavare sull’autostima di chi ci legge, ci vede ed è costretto al continuo confronto.
Quello che la società di oggi ci porta a pensare è che, se una persona è turbata per un mio atteggiamento leggitimo, la colpa ricade sulla persona stessa, così debole e inadatta alla società stessa. Quindi di fatto è leggitimo per noi continuare a sfoggiare i nostri agi e risultati sui social. Io credo invece sia aberrante. Una società sana si costruisce dove ognuno di noi è responsabile anche per gli altri.
Fine
Non c’è una soluzione a tutto ciò, ormai il fenomeno credo sia troppo diffuso ed impossibile da fermare. Non è nemmeno corretto non pubblicare più nulla sui social della propria sfera personale, non tutti i post possono essere tossici.
Quello che mi auguro possa cessare presto è l’uso dei social per ostentare i propri piccoli e brevi agi che il mondo occidentale ci ha lasciato in eredità. Si percepisce subito quando un post è ostentazione e un altro è condivisione. Meno tossicità più condivisione.
Personalmente ho reso il mio profilo privato e ho cancellato i followers con cui non ho interagito negli ultimi sei mesi. Una forma di cerchia ristretta più vicina alla realtà possibile.
Sono arrivato alla fine. Scrivere questo pezzo è stato complicato, non trovavo veramente le parole tra le mie diverse sensazioni.
Se qualcuno si è sentito ferito oppure offeso per quanto scritto, vi porgo le mie scuse, rilanciando con l’apertura alla discussione. Credo sia un modo bellissimo per fare introspezione insieme e migliorare il posto nel mondo che occupiamo e condividiamo con altri esseri umani.
La playlist nel frattempo è finita e mi è partito 24-25 dei King of Convenience che vi lascio da ascoltare.
Ciao
Note
Non usate incessantemente gli smartphone ai concerti. Io faccio una foto all’inizio al solo scopo di conservarla per ricordarmi il bellissimo momento in futuro. Il resto del tempo mi godo lo spettacolo, cambia la prospettiva fidatevi.